La paura come forma di motivazione

Sono un grande sostenitore della motivazione in generale, secondo il modello che io insegno ai corsi e nelle aziende è il primo pilastro e la base per costruire performance in generale. La motivazione ha sostanzialmente due fonti di alimentazione, una interna che è quella che si genera secondo propri obiettivi o ambizioni ed una esterna che è quella che ci condiziona dall’esterno e arriva dagli altri.

 
 

Oggi vorrei fare una riflessione su questa seconda fonte di motivazione e cioè di come gli altri, e mi riferisco in questo caso preciso ai nostri superiori, possano utilizzarla per "aiutarci" a migliorare il nostro rendimento.

Solitamente la motivazione di origine esterna ha una fase iniziale, può durare alcuni mesi, in cui ogni soggetto viene motivato in forma positiva. Con il passare del tempo però, soprattutto di fronte ad aspettative disattese, le cose cominciano a cambiare e la motivazione esterna comincia gradualmente a diminuire fino a sparire. E’ come se si fosse rotto un incantesimo. Dopo questa fase neutrale la motivazione esterna si fa più pressante, cominciano ad essere esplicitate determinate richieste di performance fino ad arrivare a vere proprie minacce. Ecco che in questo preciso caso, e mi riferisco solo a queste situazioni perché non voglio generalizzare, la leva motivazionale non è più incentrata sulla crescita, in un concetto di "sostegno incondizionato”, ma viene utilizzato un altro potente sistema motivante, quello della paura. La paura è la nostra emozione più potente, ed è quella che ha garantito l’esistenza all’essere umano, attivando il sistema “combatti o fuggi” l’uomo è arrivato fin qui.

In tutti noi questo meccanismo di attivazione emozionale porta il nostro sistema nervoso a reazioni quasi inconsce e riesce a far fare al nostro corpo cose a volte impensabili. C’è un problema, forse un paio, uno di origine fisiologica e uno di origine relazionale. Il primo si riferisce alla durata effettiva di questa reazione, è breve perché prevede un grande scompenso energetico, quindi attivando la paura negli altri avremmo immediate reazioni che possono portare a picchi di performance ma saranno seguiti poi da cali drastici, soprattutto dovuti alla tensione.

Immaginate una curva gaussiana, ecco in forma generalizzata possiamo dire che descrive bene come possono essere questi sbalzi motivazionali e di prestazione. Il secondo problema di attivare la motivazione con la paura è invece relazionale ed ha un’origine psicologica ben chiara, a nessuno piace essere minacciato. La minaccia arriva sempre dal “nemico”, chi ci mette in una condizione di pericolo è sicuramente una persona a noi avversa e di conseguenza la nostra relazione si indebolirà o addirittura si romperà del tutto. Il mondo del lavoro, ma se ci pensate anche quello scolastico o genitoriale è pieno di situazioni in cui la paura viene utilizzata come metodo motivazionale. Secondo le teorie psicologiche cognitiviste, per modificare il comportamento umano questo deve essere compreso gradualmente, e per compreso si intende che deve avere un razionale logico condiviso e accettato.

Tutto ciò che viene “imposto” ha impatti sul comportamento, sopratutto a breve termine, ma al calare della pressione si ritornerà ad uno stadio originario. Tenere sulla graticola collaboratori, figli, partner non ha effetti positivi, può averne solo in termini brevi ma può essere deleterio ai fini del benessere altrui e relazionale.

Tutto ciò che viene ottenuto con intimidazioni e coercizione ha una durata limitata, instillare questo sistema nelle nostre organizzazioni o relazioni può essere pericoloso. Per riuscire a far fare grandi cambiamenti alle persone bisogna riuscire a trovare un modo che sia affine alle loro identità e ambizioni, ma soprattutto che riescano a percepire un senso di utilità e di crescita personale.

La paura fa paura e da questa si scapperà, sempre.

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