Quando la ragione diventa prigione
“L’ortodossia della ragione fa più danni di qualsiasi ideologia.” Lessi questa frase tempo fa, in un bellissimo libro di psicologia, e oggi voglio proporre una riflessione su questo tema.
Mi è capitato proprio in questi giorni di confrontarmi sul concetto dell’aver ragione, su come il giudizio possa trasformarsi in un incredibile precipizio relazionale.
È sempre il nostro “amico” Ego a creare queste trappole emotive in cui, prima o poi, tutti cadiamo. Nella quotidianità sono molti i momenti in cui pretendiamo che la nostra verità prevalga su quella degli altri.
Ci ergiamo sul piedistallo di giudici solenni e vogliamo imporre le nostre ragioni.
Questa sensazione di potere nutre le viscere del nostro Ego e soddisfa, almeno in apparenza, necessità profonde che abitano in ogni essere umano. Ma cosa accade quando questi bisogni si insinuano nelle nostre vite? Quando la ragione, cioè la convinzione che la nostra idea o visione sia migliore di un’altra, prende il sopravvento, stiamo emettendo un giudizio. E il giudizio, per sua natura, è un’invenzione umana, quindi imperfetta.
In natura, la verità oggettiva non esiste. Dietro ogni giudizio si nasconde un rischio silenzioso: la perdita della prospettiva.
Quando giudichiamo persone, fatti o situazioni, limitiamo la nostra capacità di vedere tutto il resto.
Il giudizio ha il potere di renderci ciechi alle possibilità che la vita ci offre. Nei miei confronti con i manager uso spesso il concetto di “sospendere il giudizio”.
Lo faccio perché, statisticamente, le persone di successo – e in particolare chi ricopre ruoli di leadership – devono decidere rapidamente e, proprio per questo, sono più vulnerabili agli schemi ricorrenti e ai bias cognitivi.
Emettere sentenze troppo in fretta ci priva di una visione completa: ci chiude alla complessità, ai dettagli, alle informazioni che ancora non conosciamo. Non sto dicendo di non decidere, ma di permettere alla mente di attendere: i dettagli, prima o poi, arrivano. Sono due, quindi, i concetti centrali di questa riflessione: il bisogno di avere ragione e il rischio dei giudizi affrettati.
Chi aspira a ruoli di leadership, ma anche chi semplicemente vuole migliorare le proprie relazioni, dovrebbe imparare a riconoscere queste dinamiche.
Voler avere sempre ragione o cadere nei pregiudizi diventa infatti un forte deterrente alla costruzione di rapporti autentici. Credo fermamente che la vera intelligenza nasca dall’equilibrio, dalla capacità di unire il pensiero logico alla sensibilità e all’empatia, la competenza all’ascolto e all’attesa.
Questa abilità di sospendersi, di non reagire subito, diventa un collante potente per costruire relazioni più sane e funzionali. Lasciamo dunque ragione e giudizio alla sterilità di quanto creato dall’uomo.
Forse il segreto sta proprio qui: non cercare di avere ragione, ma cercare di capire.