Un mare calmo non ha mai fatto un buon leader

Quando si affrontano tematiche importanti nell’ambito della leadership, arriva sempre il momento in cui bisogna comprendere l’impatto di coloro che tracciano la rotta nei periodi di difficoltà.

 
 

Guidare durante una fase di crescita o in un clima di “pace”, intesa come armonia e coesione nei gruppi, può risultare relativamente semplice, anche per chi non possiede strumenti di leadership particolarmente evoluti. Ma è nella vera difficoltà che emergono i condottieri, quelli che fanno la differenza. Ieri pomeriggio ho assistito a una splendida vittoria dell’Italia del rugby contro l’Australia e per chi non conosce questo sport, basti sapere che gli oceaniani sono tra le squadre più forti al mondo. È stato proprio osservando quella partita che ho notato una caratteristica preziosa nei nostri ragazzi: nonostante chiudessero il primo tempo in svantaggio, sono rimasti mentalmente lucidi, e nel momento in cui perdersi sarebbe stato più facile… non l’hanno fatto. In questi frangenti, la leadership è più mentale che fisica, anche in uno sport di contatto come il rugby.

Quando le condizioni cambiano, i problemi aumentano e lo stress cresce, mantenere il controllo di sé diventa la vera prova.

Saper restare focalizzati, freddi e lucidi in mezzo alla tempesta è il segno più autentico della leadership, individuale e collettiva. Un vecchio detto recita: “Un mare calmo non ha mai fatto un buon marinaio.” E ne sono fermamente convinto.

Solo attraversando le tempeste, della vita, del lavoro o delle relazioni, le nostre competenze si forgiano, si temprano e si affinano. Quando tengo corsi sulla leadership, arriviamo spesso a toccare questo punto dolente: l’autoanalisi del proprio modo di guidare.

In sincerità, dovremmo chiederci: che tipo di leader sono?

Perché, se condurre gli altri si riducesse a dare indicazioni o a controllare che le regole aziendali vengano rispettate, anche mio figlio di 10 anni sarebbe un ottimo leader. Ma non è questo che fanno i veri leader.

Il loro compito è farsi seguire senza comandare, mantenere coesione quando la pressione sale, trasformare la paura in direzione.

E quando alla difficoltà si aggiungono conflitti o crisi, lì si rivela la vera pasta di chi guida. Spesso, invece, emergono ultimatum, rimproveri e minacce, come se la forza dovesse supplire alla calma.

Eppure la vera forza sta proprio nella tranquillità mentale, nel sangue freddo, nella capacità di decidere lucidamente quando tutto si muove.

Le esplosioni emotive, la rabbia o le scelte impulsive sono segnali: forse chi guida non è ancora pronto.

Ma riconoscerlo è già il primo passo per migliorarsi. Essere leader oggi, in un’epoca di connessioni veloci, cambiamenti repentini e stabile instabilità, è infinitamente più complesso di quanto non lo fosse cinquant’anni fa.

Eppure, la storia fin dall’antichità, ci insegna che chi possiede davvero i tratti del leader saprà sempre trovare un modo per risolvere le cose, specialmente quando tutto sembra complicarsi. Se volete valutare davvero la leadership — la vostra o quella di chi vi guida — non fatelo nei momenti sereni, ma nelle complessità reali.

Perché, che lo vogliate o no, il vero leader lo troverete lì: nel silenzio che precede una scelta difficile, nel controllo mentre tutto vacilla, nella calma di chi sa vedere oltre la tempesta.

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